Se avete questo dilemma siete già molto fortunati!
Significa infatti che avete giocatrici a sufficienza per fare due squadre!

In effetti il titolo potrebbe prestarsi a molte interpretazioni, ma in questo caso mi riferisco alla modalità di formazione delle squadre, qualora si sia nella fortunata situazione di poter disporre di giocatori sufficienti da poterne formare più di una.

Nel caso specifico, la nostra alleanza tra club è riuscita a schierare due squadre under 15 al Memorial “Luciana Casolin”.
Il torneo, organizzato dal Rugby Viadana 1970, si è svolto domenica 11 febbraio e va un sincero ringraziamento gli organizzatori e ai i volontari impegnati nell’evento per il successo dell’iniziativa!

Prima però di esporre vi rimando alla premessologia, quanto mai necessaria di questi tempi, e in particolare alle premesse necessarie a questo articolo: #1 e #2 e #3

Il problema dei livelli delle competenze

Un problema strutturale nel settore giovanile femminile del rugby sono le differenze di livelli di competenze molto ampie che si riscontra tra le giocatrici.

Nelle squadre giovanili del settore maschile c’è infatti una maggiore omogeneità di competenze grazie al numero consistente di giocatori provenienti dal settore propaganda e l’esperienza che da questo ne deriva. In un’under 15 maschile ad essere l’eccezione è l’esordiente, mentre nell’analoga categoria femminile è molto spesso l’opposto.

Purtroppo in quest’ultimo settore si riflette l’effetto del numero ancora ristretto di bambine presenti nel settore propaganda.

Per chi non conoscesse le dinamiche di Federugby, nel settore propaganda bambine e bambini giocano insieme, dalla categoria under 5 alle under 13, e la proporzione tra generi i è più vicina a quella del villaggio dei puffi che a quella di una normale classe di scuola primaria, sebbene la partecipazione delle bambine sia in costante e persistente crescita.

Ovviamente non è un’equazione perfetta quella tra competenze ed esperienza, anzi le capacità individuali contino molto, ma solitamente è facile identificare chi delle giocatrici abbia avuto un’esperienza nella propaganda e chi no.

Come si può immaginare, allenare con queste disparità è molto impegnativo e difficoltoso.

Molto spesso la situazione peggiora ulteriormente a causa della necessità di allenare più categorie femminili insieme, per avere un numero sufficiente di giocatrici per eseguire gli esercizi. Il divario di età accentua ulteriormente il divario di competenze.

Andrew Douglas, dal quale ho avuto la grande fortuna di ricevere supporto negli allenamenti, mi soleva dire che era il settore più difficile da allenare, non tanto per gli anticipatici cliché che si attribuiscono alle squadre femminili, ma per il ben più concreto e reale problema di divario di competenze.

Una scelta impegnativa

La scelta di competere al Memorial “Casalin” con squadre con capacità differenziate è stata ragionata e condivisa tra i quattro allenatori della categoria under 15, avendo però già alcune esperienze sulle quale basarsi.

In uno degli incontri dell’attività regionale avevamo già infatti provato a suddividere le squadre in due livelli distinti di capacità di gioco. Non era stata la scelta iniziale ma, essendo permesso dal regolamento, abbiamo riformato le squadre in un secondo momento dello svolgimento delle partite.

Crediamo infatti che le categorie giovanili siano categorie di sviluppo, in cui sperimentare e apprendere abbiano la precedenza sul risultato, e il tentativo sembrava aver convinto allenatori e giocatrici.

Preciso nuovamente, per chi non conoscesse le dinamiche del settore, che le categorie giovanili femminili competono nei singoli incontri del campionato come in un torneo tra le squadre presenti alla data.

Com’è ovvio e giusto che sia, c’è stata qualche difficoltà nel fare accettare completamente a tutte le atlete questa strategia, in particolare a coloro che si sono trovate a competere nella squadra con competenze minori.

Tuttavia la proposta è stata complessivamente compresa e, soprattutto, hanno accettato di provare senza risparmiarsi in campo, anziché irrigidirsi sulle proprie posizioni, .

Sebbene siano intuibile perché tale proposta possa essere accettata di buon grado dalle giocatrici schierate nella squadra più performante (la voglia eccellere, il desiderio di vincere, ecc.), anche coloro con meno competenze hanno i loro validi perché.

Credo siano due in particolare le motivazioni di quest’ultime:

  1. la fatica del costante confronto con i propri limiti rispetto a chi più dotato, tanto più difficile da gestire tanto più i livelli sono distanti.
  2. la difficoltà di gestire i sensi di colpa per sentirsi un limite per le compagne di squadra che sarebbero in grado di performare maggiormente. Sensazione del tutto ingiustificata, ma presente e forte, e pertanto degna di essere presa in considerazione e gestita.

È bene sottolineare che le giocatrici vanno e sempre comunque spronate a affrontare queste fatiche e queste difficoltà, evitando di mettere in atto strategie da genitore spazzaneve.

Può sembrare contraddittorio, ma questo stesso principio di deresponsabilizzazione è comunque quello che spesso guida inconsapevolmente gli allenatori quando si sceglie la strategia contraria, quella di equilibrare le squadre. Squadre equilibrate permettono infatti di di nascondere le incompetenze di alcune con le competenze di altre, così da evitare malumori, ma impedendo il processo di presa di responsabilità individuale.

La scelta su quale suddivisone adottare va quindi ponderata anche sulla pressione emotiva, che deve risultare nel complesso sostenibile. La sua persistenza si rivela infatti tossica per la motivazione delle giocatrici, diventando logorante, squalificante e controproducente, e influendo direttamente sulla propria auto-efficacia.

Si questo tema dell’auto-efficacia si è discusso e sperimentato molto nell’ambito dell’istruzione e rappresenta un chiave di volta del mental coaching. Va però ricordato, per correttezza, che la suddivisione per competenze in quell’ambito vada maneggiata con estrema cura, perché può dare effetti contrastanti.
La valutazione della situazione è fondamentale e imprescindibile e questo vale anche nel nostro caso.

Quindi? Dipende!

Quindi qual è la soluzione?
Come quasi sempre, la risposta è la solita per ogni quesito nel rugby: dipende!

Come si fa quindi a differenziare senza discriminare?

Come già accennato precedentemente, sebbene anche tra le giocatrici ci siano buone motivazioni per abbracciare una differenziazione per competenze, questo non significa che tutte le giocatrici abbracceranno con entusiasmo l’opzione di essere suddivise in base alle loro performance in campo.

È esperienza di comune di ognuno quanto sia difficile ammettere i propri limiti, sentirsi giudicato, e sentirsi assegnata l’etichetta di “scarso”.

Pertanto i drammi ci sono, ed è giusto e sano che ci siano, specialmente da parte delle giocatrici per cui non è così evidente perché si debbano trovare nella squadra di livello più basso.

E questa però una di quelle situazioni in cui si comincia allenare sul serio, in cui di vede di che è pasta sono fatta gli allenatori, perché sono le giocatrici ad allenare gli allenatori, mettendoli alla prova.

Nel saper prevenire e gestire malumori, critiche e obiezioni delle nostre giocatrici e valutare correttamente la pressione emotiva a cui saranno sottoposte, lì si manifesta la nostra abilità di allenare persone, e non solo giocatrici, di allenare squadre, e non solo singole atlete messe a giocare insieme.

Si passa da allenare delle competenze tecniche ad allenare dei giocatori. Passiamo dalle mere competenze “in campo” alle competenze “per il campo e per la vita”.

Non una sola squadra forte, ma due squadre forti

La verità è che non basta che una squadra sia forte, serve che lo siano entrambi, ma in modo completamente differente. E tra la due, quella ad essere più forte per impegno e fatica, non è quella che quella che diamo per scontato che lo sia.

Godersi la vittoria sono capaci tutti, affrontare la sconfitta con dignità pochi.

Serve pertanto moltissimo coraggio e tanta determinazione per entrare in campo sapendo di avere minori capacità a disposizione nel gioco, e che le possibilità di successo sono ridotte, senza per questo abbattersi e dando comunque il massimo per onorare le avversarie e i valori di questo sport.
Oppure essere completamente fuori dalla realtà… Per follia o presunzione!

Pur con eccentricità tipicamente rugbystiche, le ragazze che abbiamo fortuna di allenare non mostrano nessuna forma di squilibrio mentale, né tanto meno peccano di presunzione, anzi, tendono costantemente a svalutarsi.

Le giocatrici della squadra con competenze inferiori sono infatti perfettamente consce che dovranno dare il meglio di sé, anche se probabilmente i risultati non saranno così gratificanti, e che lo faranno per dare modo alle compagne della squadra sorella di dare a loro volta il meglio di sé e potare a casa grandi risultati.

Lascio alla vostra capacità empatica di intuire quanto impegno emotivo tutto ciò richieda a una ragazza di quell’età. Stiamo infatti parlando di sacrificio e stoicismo, valori che solitamente attribuiamo più agli eroi che agli adolescenti…

Sacrificio nel senso di offrire o rinunciare a un’esigenza o un bene personale in favore di un assoluto, come un valore o un ideale (per questo la parola deriva da sacro).

Stoicismo nel senso di affrontare con serenità le avversità, senza scadere nel cinismo o nella rassegazione.

Mi rendo conto di quanto tutto ciò sia di difficile e, soprattutto, delicato, ma anche una grande opportunità. Quando e dove delle ragazze adolescenti possono avere l’opportunità di imparare ed esercitare tali attitudini? Mi pare che le situazione che glielo permettano siano rarissime e alquanto limitate!
Quindi non ci si può lasciare far sfuggire un’opportunità come questa.

Vanno inoltre considerati anche i riflessi sulla squadra con i livelli di competenze maggiori.
Questa giocatrici vanno infatti aiutate a prendere consapevolezza della grande opportunità concessagli nel poter usufruire delle migliori competenze disponibili. Condizioni ottimali e che, come tali, non possono sprecate o sminuite.

Il rischio è che da un’opportunità di maturazione si trasformi in un’occasione per l’insorgere del narcisismo e della presunzione.

Con le giocatrici più competenti è pertanto necessario lavorare su tre punti:

  1. È in loro potere fare bene, quindi è loro dovere fare bene.
    Non ci si potrà limitare crogiolarsi su risultati positivi, l’impegno è preteso sempre e comunque.
  2. Le responsabilità sono personali.
    Non ci sono infatti alibi disponili, le performance mediocri di gioco non si possono ricondurre alle carenze di altre compagne. Ognuna deve assumersi le proprie responsabilità.
  3. I meriti sono invece collettivi .
    I successi sono stati permessi anche grazie al sacrificio della squadra con competenze inferiori. Pertanto meriti e successi vanno condivisi e riconosciuti collettivamente.

Insomma…

Da un grande potere derivano grandi responsabilità

Secondo il principio di Peter Parker di Stan Lee a Ben Parker…

Sì, ma come?

Come si fa però a sviluppare tutto questo?
Come si fa dotare delle adolescenti, con tutte le loro difficoltà, fragilità e turbolenze, delle stesse attitudini dei 300 spartiati della Battaglia delle Termopili?

Vi rimando innanzitutto al primo articolo di questo blog Fare o non fare non c’e provare! in cui espongo il dilemma dei limiti con cui necessariamente ogni allenatore si scontra e confronta.

Vi propongo inoltre due presupposti fondamentali, che espongo qui per la prima volta, ma che richiamerò costantemente nel futuro.

Il primo è l’ineludibile legge delle allenatrici e degli allenatori delle squadre femminili:

Non puoi addestrarle, puoi solo convincerle!

Pur vessate per secoli da una socializzazione coatta al senso del dovere, e annessi sensi di colpa, donne e ragazze non conoscono lo stesso senso dell’obbedienza dei maschi.

Se un uomo o un ragazzo riesce essere perfettamente a suo agio a non porsi il minimo problema a eseguire ordine del suo maschio alfa di riferimento, questa attitudine risulta del tutta aliena alle ragazze e alle donne. Per loro è vitale dare un significato e capire il senso di quanto richiesto, la fiducia è per loro una cosa seria ed è garantita solo se guadagnata, non può essere concessa a priori.

Pertanto qualunque attività che decidiate di far svolgere alle vostre giocatrici, va argomentata con precisione e chiarezza, senza dare nulla per scontato, ma mantenendo la giusta fermezza senza scadere nell’intrasigenza.

Solo allenando una squadre femminile potrete capire appieno il concetto di autorevolezza.

Non illudetevi inoltre che sia sufficiente un singolo intervento per chiudere ogni dubbio. Siccome è solo riflettendo che si può sviscerare al meglio ogni dubbio, è bene mettere in conto che ogni tema si riproporrà nuovamente e con nuove sfaccettature. Ribadisco che nulla è concesso a priori.

Anche in questo caso, solo allenando una squadre femminile potrete capire appieno il concetto di persistenza.

Il secondo presupposto è invece ispirato a quanto scritto sulle etichette della Pasta Rummo:

Per fare le cose buone ci vuole tempo…

Credo però che dovremmo dotare la quasi totalità delle attività umane di tale etichetta, in particolare quelle che richiedono un lavoro educativo e formativo.

Per trasmettere le giuste attitudini e far metabolizzare ogni proposta serve:

  1. farsela venire in mente;
  2. capire quale strategia usare per realizzarla;
  3. confrontarsi rispetto a quanto vogliamo proporre;
    • ritornare eventualmente sulle proprie idee e ripensare a come attuarle…
  4. realizzale con attività e esperienze;

E per tutto questo serve tempo, tempo e ancora tempo!
E serve soprattutto tempo perché

  1. quasi nulla funziona al primo tentativo;
  2. praticamente tutto ha bisogno di essere sistemato, corretto, adattato;
  3. ogni cosa si sviluppa progressivamente in un contesto, non compare dal nulla.

Pertanto perché un’unica squadra sia pronta a essere suddivisa due squadre distinte per competenza, serve il tempo per prepararle a metabolizzare questa soluzione, allo stesso modo ci come le si prepara dal punto di vista tecnico e atletico.

Sì, ma concretamente…

Mi sembrerebbe veramente meschino non condividere con voi qualche esperienza pratica dopo aver aver avuto la pazienza di leggere fino a qui.

Vi propongo tre proposte da mettere in atto…

UNO / fate dare un voto a ciascuna
Le giocatrici conoscono mediamente bene il livello di competenze di ognuna, al netto di qualche valutazione che potrebbe essere viziata da elementi non agonistici, che possono però essere superati.

Sanno essere molto più corrette e oneste che la maggior parte dei partecipanti di 4 Ristoranti, e comunque anche voi potrete ribaltare il risultato!

Se avete creato uno spogliatoio, un ambiente di squadra, sufficientemente sereno potete condividere i voti in modo palese. In questo caso vi consiglio di partire dalla giocatrice stessa nell’esperimere il voto su di sé e successivamente chiedere alle compagne se lo condividono o lo vorrebbero rettificare.

Qualora la giocatrici non siano ancora così mature da affrontare collettivamente questa esperienza, potrete raccogliere voi direttamente le le valutazioni, sia con un confronto diretto con le singole giocatrici che con un modulo anonimo

Una scala da 1 a 5 è solitamente esaustiva e sintetica.

Ho avuto modo di testare questo approccio con un metodo a doppio cieco con le valutazioni date dagli allenatori: il risultato è stato pressoché identico.

DUE/ spiegare poco, raccontare molto

Molto spesso spediamo molto tempo cercando di argomentare facendo leva sulla razionalità o su argomenti che noi reputiamo tali, senza considerare che prima di tutto c’è la passione a muovere le persone.

Sappiamo che è necessario, anzi essenziale, convincere le giocatrici, ma se vogliamo che ci seguano con la testa, dobbiamo prima parlare con il cuore, usando il nostro e rivolgendosi al loro.

Solo raccontando un episodio, un’esperienza o una storia possiamo fare in modo che ci ascoltino e che mettano temporaneamente da parte le difese, così da permettere di sentire le giuste emozioni della situazione in cui le vogliamo portare. Purtroppo qui la ragione è veramente poco efficace rispetto a tutto ciò che può fare l’immaginazione.

Per questo motivo le esperienze e i racconti delle giocatrici e dei giocatori che prendono a modello hanno ben più presa di qualunque argomentazione perfettamente strutturata di un allenatore,

Precedentemente ho accennato al mito della battaglia delle Termopili per permettere alle giocatrici nella situazione più difficoltosa di trovare le risorse per affrontarla. Se io riesco a vedere in loro delle spartiate, loro si riusciranno a sentire tali!

Non è una cosa semplice, ma non va sottovalutato il potere evocativo, anzi, sfrozatevi di trovare un racconto per argomentare ogni vostra scelta in modo straordinario!

TRE / accogliere le difficoltà, stimolare il confronto

La fiducia si basa anche, se non principalmente, sull’assenza di giudizio personale. È pertanto fondamentale che qualunque critica o perplessità possa essere espressa.

Certo, ci sono modi e tempi per farlo, ed è importante educare le giocatrici a farlo nel modo giusto, in questo caso mi sentirei anche di dire disciplinare, chiarendo sempre che la decisione è comunque e sempre vostra. Non posso però ora scendere su questi aspetti, che sono però importantissimi e spero di dedicare loro uno spazio apposito.

Devono però esserci spazi e tempi in cui le giocatrici possano sentirsi serene di esprimere senza sentirsi giudicate. È sicuramente impegnativo, molto impegnativo, perché non basta ascoltare, è necessario che il nostro stato d’animo sia fermo ma sereno. Ogni segno di irritazione viene infatti captato istantaneamente rischiando di inibire il confronto e, quindi, il rapporto di fiducia.

Se c’è un punto su cui ci è possibile riprenderle è casomai proprio il contrario, qualora esprimano le loro perplessità tra di loro o a terzi, senza esprimerlo apertamente, dopo che è stata data loro la possibilità. È chiaro a tutti che questi mormorii e chiacchiere detrattorie creino un ambiente tossico, di falsità.

L’unico vero antidoto a questi veleni è non lasciare giustificazioni per questo genere di atteggiamenti, creando un ambiente in cui è possibile esprimere il dissenso, trasformadolo in confronto.

Capisco che quanto appena esposto possa anche urtare, perché così esposto potrebbe dare l’idea di essere così facile, quasi scontato…
Ma vi rassicuro…. Non lo è! È dannatamente difficile, estenuante e sfuggente!
Purtroppo non è esistono ricette, anzi, prima di capirci qualcosa si sbaglia innumerevoli volte, pur avendo fatto del proprio meglio.

In conclusione

Potrebbe sembrare una cosa da poco, forse banale, dover suddividere una squadra… Ma, come avrete potuto notare della lunghezza di questo articolo, non lo è!

Una scelta così semplice e, molto spesso, accidentale, nasconde in realtà una notevole quantità di implicazioni, mettendo chiaramente in evidenza quale sia il vostro approccio come allenatrice o come allenatore.

Spero che queste riflessioni possano esservi utili se anche voi avrete la possibilità affrontare questa situazione.

P.s.: l’articolo è stato ripreso più volte nella forma, ma non nel contenuto, per miglioralo…
Come aggiungere i risultati di cui mi ero dimenticato!
Eccoli: Risultati del 11/12 Febbraio 2023 Femminile